O ENTRO “IO” O ESCE IL COACHING

O ENTRO “IO” O ESCE IL COACHING

Per anni ho inseguito la maestria.
L’ho trovata? Assolutamente no, figuriamoci.
Ma la sento vicina in alcuni momenti.
Quali?

Faccio un passo indietro: per anni ho “fatto il coach”. 
All’inizio mi serviva cancellare le tracce di me, delle mie convinzioni, modelli mentali, bias, ombre. Dovevo “inquinare” meno possibile la sessione con la mia presenza. 
E poi dovevo far posto alla “struttura” del modello.
Che non è naturale, visto che da bambini assorbiamo dal contesto tutt’altro approccio.

Dopo aver studiato e praticato tanto, un certo giorno, mi sono accorto che volevo suonare “oltre lo spartito”. 
Non era una scelta razionale. Ne sentivo l’esigenza.
Anzi… l’impellenza.

Dopo anni di “pulizia” di neutralità, di assenza, c’era bisogno di me.

La mia identità “doveva” entrare. Con le sue ombre e la sua luce.
Per me è stata una scelta di sopravvivenza. O entravo “io” o usciva il coaching.
Una decina di anni fa, dopo dieci di professione con tanti risultati, stavo mollando e prendendo un’altra strada.
Perché non c’ero.
E nulla di meraviglioso può accadere quando “non ci sei”.
In nessuna professione. In nessun contesto.

Sono stato fortunato. Amo l’audacia, il rischio, la scoperta, così non ebbi problemi a suonare senza spartito.
La musica sentivo di averla dentro, anzi di averla “capita”. 
Non ho “l’orecchio assoluto” ma adoro ciò che faccio quanto ciò che sono. 
E quindi accadde qualcosa di straordinario.

Iniziai a portare i clienti nei boschi, a usare la fotografia, la pittura, la musica, la poesia.
Non dimenticherò mai il CEO di una multinazionale tedesca che recita nella sua lingua “L’infinito” di Leopardi davanti ad una siepe. E la luce nei suoi occhi, e le inaspettate intuizioni.
Gli raccontai di quanta musica avevo ascoltato nella sua pronuncia tedesca e mi disse sorpreso che nessuno pensa che il tedesco sia una lingua musicale. Non lo sapevo neanche io. 🙂

Ho portato il mio entusiasmo, la mia leggerezza, la mia eccentricità.
E quando sono stato autentico, vulnerabile, aperto al fallimento di ciò che proponevo… in quel momento si è aperto un varco. Un varco verso una dimensione unica, meravigliosa, magica, da cui il mio partner è stato toccato.

Qualcosa di extra-ordinario accade quando ci concediamo il lusso della nostra vera, profonda, sincera autenticità.
Perché anche l’altro sente di poter liberare la propria.
E di poter toccare la propria meraviglia.
Che forse (ri)conosce per la prima volta, o dopo chissà quante ere dopo averla dimenticata.

L’identità, chi siamo veramente, forse non lo sapremo mai fino al passaggio verso una dimensione “altra”. Ma possiamo sfiorarla in alcuni momenti. Quando i modelli spariscono, e resta ciò che siamo, io, te, gli altri e l’intero meraviglioso e strano mondo.  

Gli strumenti, gli spartiti, ciò che abbiamo studiato, hanno la missione di accompagnarci verso il nostro autentico sé. Ne cercano la luce, il calore, il profumo, sino al momento, quel preciso momento, in cui… tutto diventa possibile.

Questo per me è ciò che di più grande possiamo essere (avevo scritto fare), per noi stessi e per le persone la cui vita tocchiamo con la nostra meravigliosa professione.