Il setaccio e il martello.

Il setaccio e il martello.

Riflessioni sulla complessità necessaria e l’incertezza da accogliere

“Molti miei conoscenti stanno usando quel prodotto. Ora lo vedo in tutti i negozi. Deve essere veramente buono.”

“Il nuovo collega ha un viso aperto e sorridente, e poi viene da un’università di altissimo livello. Fara senz’altro bene qui da noi!”

“Ho avuto solo sfortuna, mentre tu la stai prendendo così perché sei irascibile e superficiale!”

“Il nostro business ha avuto risultati eccellenti negli ultimi due anni. Continuiamo così e andremo bene anche quest’anno.”

Potrei continuare con molti altri esempi di frasi, connotative di pensieri tipici che chiunque di noi può fare. Saltare alle conclusioni da uno o pochissimi dettagli, mettere insieme cose che insieme non per forza ci stanno, trovare solo conferme alle nostre idee, senza nessuna contro-tesi: niente di strano… bentrovati nel mondo della complessità appiattita e delle facili certezze.

Il setaccio severo

“Certezza”, da “certus”, participio passato del verbo latino “cernere” ossia “separare”. Si sostiene risalga all’atto di usare setacci per dividere la farina dalla semola, quindi filtrare ciò che serve da ciò che non serve. Astraendo, è il giudicare ciò che è giusto da ciò che è sbagliato rispetto a un contesto.

La parola “complessità” viene dal latino “cum – plectus”. Significa “intrecciato” e anche “tessuto insieme”. Identifica l’insieme di più componenti la cui giunzione è inseparabile e il cui prodotto (non certo la semplice somma) produce un’entità che ha una sua funzione. Ogni essere vivente è, per definizione, complesso.

Già dall’etimologia emerge una certa incompatibilità tra i due concetti: da una parte separare ciò che è possibile, dall’altro sapere che è molto difficile farlo, consci anche di risultati probabilmente deludenti.

Il setaccio, la nostra mente, è inadeguato a gestire un intreccio inestricabile: è troppo semplicistico, se volessimo additarne la componente negativa. Allo stesso tempo è efficiente nel breve periodo, se desideriamo accoglierne la parte buona: impiega la minore energia possibile per risolvere problemi emergenti in modo soddisfacente e sufficiente.

La necessaria severità del setaccio serve per la sopravvivenza: la nostra mente considera come potenziale pericolo ogni cosa che ancora non conosce, che non comprende o che potrebbe far perdere integrità al corpo che la ospita. Di fronte a queste minacce, tende a trasformare l’incertezza in certezza e l’ignoto in qualcosa di noto. Nel tentativo di trovare un rimedio rapido e avere sollievo, ci affidiamo a processi mentali resi automatici da esperienze che poggiano su categorie irrigidite dalle ripetizioni e dal tempo. Il tutto facendo finta che la vita su questa terra non sia poi così tanto complessa. Le regole fisse che adottiamo come se fossimo al cospetto di un sistema prevedibile e ordinato funzionano quanto martellare su una vite, metafora usata da Abraham H. Maslow che in “The Psychology of Science” (1966), che scrisse: “Suppongo che se l’unica cosa che hai è un martello, sia invitante trattare tutto come fosse un chiodo.

Il martello condizionato

Il nostro martello, il cervello, si evolve grazie alle varie interazioni con l’ambiente e con il resto del materiale vivente con cui entra in contatto. È un continuo compromesso: da un lato intercettare (e quindi vedere) solo chiodi, così può risparmiare energia e cavarsela in modo sufficiente con una certa celerità; dall’altro, andare oltre i suoi stessi confini e contemplare la possibilità di essere anche-altro-da-un-martello.

In questo compromesso dinamico, nella vita quotidiana, il nostro cervello opera grazie a tre principali categorie di processi che si mescolano e sono interdipendenti:

  • associa tra loro informazioni di vario genere. Per tentare di mettere ordine nella nostra realtà, facciamo classifiche e classificazioni di oggetti e persone, mettiamo a confronto, creiamo categorie, facciamo paragoni e inventiamo nessi causali che nel mondo complesso potrebbero essere arbitrari, ma nel nostro mondo individuale hanno tutta la considerazione possibile. D’altronde è il “nostro” mondo, e guai a metterlo ancor più in disordine…
  • si focalizza su informazioni che considera rilevanti. Posiamo la nostra attenzione su ciò che è di immediata utilità, traendo soddisfazione dalla prospettiva corta che tendiamo ad avere e che ci rende “abbastanza” performanti qui e ora. Contenti di questo e rilassati per aver risolto un problema, non ci è facile arrivare con il pensiero a quel medio-lungo termine in cui potremmo riconsiderare, eventualmente migliorare o addirittura cambiare le decisioni prese in precedenza.
  • cerca la coerenza con informazioni già in suo possesso. Niente si crea e niente si distrugge ma tutto si trasforma e non c’è nulla che venga creato dal nulla sono due princìpi che le scienze dure e la filosofia hanno sancito in vario modo. Ben lontano dall’essere una tabula rasa alla nostra nascita, noi umani impariamo quando le nuove informazioni si innestano su un reticolo cognitivo preesistente. Abbiamo bisogno di dare un senso a quello che ci accade, alla ricerca di conferme, per convalidare la nostra identità e mantenerla il più integra e stabile possibile.

I princìpi appena delineati sono alla base sia dei nostri più grandi successi come genere umano, sia delle nostre quotidiane cantonate nella logica. Quindi come possiamo privilegiare la prima circostanza? Concentrandoci sul frenare le risposte impulsive, automatiche ed ego-riferite; contando sulla nostra esperienza e, allo stesso tempo, non essere affidati a essa in modo sconsiderato; lavorando in gruppo, sapendo che un insieme di cervelli, se ben usati, sono complementari e si arricchiscono a vicenda; essendo consapevoli che le best-practices, tanto per usare una terminologia cara agli ambienti organizzativi, emergono da uno o pochi casi di successo, la cui elevazione a modello non per forza le rende riapplicabili a tutti gli altri contesti e, più in generale, alla complessità.

Nei prossimi articoli entreremo di più in ciascuno dei princìpi di operatività cerebrale di cui sopra, e vedremo come possono essere le cause di errori di pensiero e, in un effetto domino, di azione. Capiremo anche come gestirli meglio e contenere i danni.

Nell’attesa, divertiamoci a capire nelle frasi all’inizio di questo articolo quali potrebbero essere le associazioni improprie, le focalizzazioni inadatte e le coerenze arbitrarie, cioè vere per noi ma non applicabili al totale del genere umano.