Sabrina Agnoli
Sono coach da quasi quattro anni, relativamente poco sulla linea temporale della vita professionale di molti colleghi con cui mi sono spesso confrontata, soprattutto all’inizio di questa nuova avventura professionale, leggendo le lettere scritte in stampatello che accompagnano i loro nomi e stabiliscono inesorabilmente il numero di ore dedicato alle sessioni con i propri clienti.
Infatti, una volta completata la mia formazione di Executive Coaching mi sono ritrovata con un senso di disagio. E adesso? Sono una persona nella sua piena maturità e, al tempo stesso, sono una coach, ma troppo giovane, manco di esperienza – mi ripetevo – esperienza soprattutto del lavoro in azienda. Quindi età anagrafica in contrasto con l’età professionale. Eppure una delle prime cose che ci hanno detto durante il master di formazione è stata che per essere coach è meglio avere un “po’ di vita alle spalle”, un po’ di vita …
Le riflessioni che si sono susseguite nella mia mente e nel mio cuore, praticando e approfondendo il coaching, sono partite proprio da qui, dalla maturazione graduale del pensiero che “vita” corrisponde ad “esperienza” e che “lavoro in azienda”, per quanto mi riguarda, corrisponde al lavoro “con e per le persone” in contesti diversi, ma sempre focalizzato sulla crescita, sul supporto, sull’apertura di canali espressivi attraverso i quali posso dare alle persone, e prima di tutto a me stessa, la possibilità di esplorare il nuovo.
Questo è il nucleo di pensieri fecondi che si è generato nel momento in cui mi sono permessa di pensare che la mia formazione linguistica e artistica ed il mio essere insegnante e formatrice da tanti anni, per persone di età diverse, dai bambini agli anziani, non fosse inutile e fuori contesto rispetto alle regole del coaching, ma un patrimonio da valorizzare e dal quale partire per fare di questo strumento il “mio” essere coach. E’ stato un passaggio di consapevolezza.
Mi è sempre piaciuto emozionarmi guardando un quadro, ascoltando una canzone o un brano di musica, ammirando l’armonia della danza o la capacità narrativa degli attori sul palcoscenico o nei films, così come sono sempre stata attratta dalle lingue straniere come veicolo di comunicazione di culture diverse.
Comunicazione – arte – persone: ecco il collegamento di cui sono sempre più consapevole. Il coaching è un filo che non solo permette questo legame ma, addirittura, lo comprende come parte integrante della sua essenza, dato che si definisce come una partnership tra coach e cliente, che stimola la riflessione su di sé e le proprie potenzialità attraverso un processo creativo.
Creatività, questa è per me la parola chiave del coaching, poiché racchiude in sé la conoscenza, lo studio, l’assimilazione, la raccolta di dati, la riflessione, l’errore come apprendimento, il rilancio, la fiducia nella costruzione, il respiro profondo della bellezza di ognuno e il lasciare accadere, accogliendo quello che accade come espressione di qualcosa di nuovo che prende forma nella persona di fronte a noi.
Allora mi sta accadendo che il mio essere coach si arricchisce di ciò che approfondisco nelle lezioni di comunicazione interpersonale con le aule dei futuri operatori socio sanitari, dell’esperienza di qualche anno fa di teatro d’impresa nelle aziende, delle lezioni sulla mitologia nelle aule delle università della terza età, dell’attività di animatrice di persone anziane e di regista del teatro della memoria. E il mio essere formatrice si arricchisce della professione di coach, nel porre le domande, nel coltivare l’ascolto attivo, nel modo di stimolare le persone a vedere ed esprimere le loro potenzialità.
Infine un’altra parola per me fondamentale è collaborazione. Ho sempre collaborato con colleghi, docenti, artisti, con amici e persone che ci tengono ad essere esperti della loro unicità – anche nella mia famiglia – e continuo a farlo, perché sono convinta che sia la chiave principale per evolvere, per coltivare l’apertura al nuovo, guardando all’arte come ad un serbatoio di stimoli e risorse a disposizione di tutti. Arte come pratica di vita che include necessariamente le difficoltà, ma si orienta maggiormente verso le opportunità, arte di esprimere il proprio potenziale, quindi arte di essere coach in modo unico, coraggiosamente, in ogni giornata, per poter incoraggiare le persone che vengono in contatto con me ad essere, a loro volta, sempre più uniche.
Un grazie a chi ha scritto prima di me in questo blog, portandomi a riflettere e a vivere questo momento come confronto fecondo e un grande grazie a chi, all’interno della CPC, mi ha dato la possibilità di partecipare a questo scambio di vita, personale e professionale.