Racconto di una parte importante dei nostri incontri
Abbiamo bisogno di coaching anche noi coach? Certamente.
In generale, un altro coach ci può supportare in vari momenti della nostra vita, professionale e personale. Detto questo, vogliamo qui portare l’attenzione sulla tecnica del “coach the coach”, che si usa nelle migliori scuole di coaching e che è stata ripresa come uno dei fondamenti della CPC – Comunità pratica di coaching.
Sono “nuova” della CPC: sono entrata quest’anno nel gruppo di Milano CPC4, ma sono una “vecchia” del business coaching (dal 2004 con la formazione iniziale nella SCOA di Gianfranco Goeta).
Come business coach, sul lavoro ho avuto la fortuna di occuparmi di career coaching in una realtà che faceva della supervisione un must: ogni mese un avevo un incontro-confronto con due o più coach senior. Con gli anni però ho un po’ perso questa pratica, pur sapendo quanto è importante un confronto, anche strutturato, non solo all’inizio ma anche durante tutta la vita professionale di un coach. Pratica che ho ritrovato qui in CPC.
Il primo incontro in programma della CPC4 per il 2023 è stato strutturato con un momento di teoria e condivisione di conoscenza la mattina, il “Train the coach”; poi il momento di “coach the coach”, nel pomeriggio, di cui vi voglio parlare.
E’ andata così: sono stati chiesti al piccolo gruppo (circa una dozzina di persone, senior coach) casi reali tratti dall’esperienza (recente) professionale o personale; i casi sono stati elencati e poi votati da ogni componente del gruppo, in modo da sceglierne due su cui lavorare in gruppo. Ne è stato scelto un professionale e uno personale, almeno “formalmente”. Dico formalmente perché, alla fine, che differenza c’è tra la vita e la professione? In un caso si è usato tra le varie possibilità del “coach the coach”, il fishing; nel secondo una sessione di coaching uno-a-uno, la modalità classica.
Il primo caso – tratto dalla vita professionale di una di noi – è stato raccontato brevemente e poi ciascuna partecipante (eravamo sole donne) ha fatto delle domande: come se la sessione di coaching fosse stata condotta non da un coach, ma da 10 coach contemporaneamente. Con questa tecnica detta Fishing, siamo state in grado, tutte quante, di portare beneficio alla coachee e di farle centrare le aspettative della sessione.
Non è stato facile fare una sessione di coaching a 10 pur essendo tutte coach professioniste!
La sessione ha fornito molti elementi costruttivi:
- grande attenzione alla coachee
- allo stesso tempo grande attenzione alle altre coach che gestivano la sessione
- attenzione alla struttura della sessione di coaching
- attenzione agli aspetti di contenuto e altrettanto agli aspetti emozionali che caratterizzano la persona che lavora con passione, usando il coaching per migliorarsi
- l’mparare a collaborare davvero per un fine comune senza volersi imporre sugli altri
Punti negativi? Sinceramente il coachee si è dimostrato soddisfatto della sessione, è riuscito a verbalizzare dei temi che non riusciva a “tirar fuori”, ha tratto degli spunti su cui lavorare in vista della prossima sessione. E alla fine è questo che conta o no?
Le altre coach hanno anch’esse portato a casa spunti interessanti. Io per esempio, che non avevo mai usato questa tecnica nel coaching, ho fatto un po’ fatica a “controllarmi”: cioè ad ascoltare tutte, e a fare attenzione che tutte dessero il loro contributo senza volermi imporre.
Il secondo caso è stato un caso personale-familiare di relazione, che è stato affrontato con una sessione di coaching uno-a-uno. Durante la sessione le altre coach ascoltavano attivamente, osservatrici attente ma non giudicanti, pronte a contribuire allo scambio dei feeback finali.
A parte la sessione di coaching in sé – che ha avuto il suo obiettivo, la sua struttura, il suo sviluppo – la parte importante in questa pratica è il feedback che ci si scambia su quanto condiviso dai diversi punti di vista: dentro e fuori la sessione, ognuno con il proprio background e la propria personalità a caratterizzarci.
Alcune osservazioni comuni nella sostanza, diverse nella forma; più alcuni commenti specifici in relazione alla postura, ai silenzi, al rispecchiamento, prendere appunti o farli prendere al coachee…
Una ricchezza di punti di vista che compongono la pratica della nostra professione.
Un tema, per me, è spiccato tra tutti: l’ambizione di una sessione di coaching.
Il coaching è un percorso, quindi la singola sessione ha di sicuro un obiettivo e i partner – coach e coachee – contribuiscono a raggiungerlo. Per il resto non è utile allargare troppo il tema, perché si rischia di non trattare con sufficiente attenzione i vari punti che il coachee mette sul piatto…. Quindi è importante attenersi all’obiettivo dichiarato e sviscerato nelle prime fasi della sessione.
Un secondo commento che voglio fare è che una simile pratica permette al singolo coach di consolidare le proprie tecniche, confrontarsi con altre nei dettagli, chiedere e condividere esperienza, arricchirsi ed arricchire gli altri, in uno scambio reso possibile da un gruppo di dimensioni contenute, cioè da un piccolo e ben selezionato “gruppo di pari”.
Autore: Cristina Gianotti
This is my first time go to see at here and i am
truly pleassant to read everthing at one place.
Il coach the coach è stato per me l’elemento principale a farmi entrare nella CPC Roma, dove ho trovato supporto e sostegno da tutti i miei colleghi. La nostra è una professione “solitaria” che comporta il rischio di chiudersi in prassi consolidate che invero necessitano di rinnovamento costante.